sabato 28 febbraio 2009

Bilinguismo 2: i risultati della scuola in Italia

Durante il nostro soggiorno in Italia i bambini sono andati per 5 mattine alla scuola elementare Maria Schiozzi, una scuola piccola e carina, con un giardino e un grosso parcheggio davanti (disse la madre multata per sosta illegale mentre ritirava i figli dal doposcuola senza parcheggi vicino).

Per motivi logistici e per semplificare le cose a tutti, con le maestre è stato deciso di metterli tutti e due in seconda, insieme al loro amico Leo, la cui nonna, amica di famiglia, ci ha ospitati tutti quanti.

"Ma davvero dormite insieme?" chiedevano gli amichetti increduli e un po' gelosi.
"Si", risponevano i reprobi, che effettivamente tutte le sere riuscivamo a ficcare nel lettone e dopo 10 minuti di chiacchiere e urla, schiantavano all'improvviso.

Sono stata commossa e piacevolmente soprresa dalla disponibilità ed apertura delle tre maestre: Daniela, Ambra e Gentilina, e da come si sono adoperate per mettere i bambini a proprio agio e farli lavorare al proprio livello, se la classe era più avanti. tutti hanno visto questo esperimento anche come un'occasione di apprendimento per entrambe le parti e si ralegravano che i loro bambini potessro imparare dai miei come si vive in Olanda.

Pare Ennio abbia avuto un gran successo come traduttore di parole tipicamente olandesi, tipo "taxi".

Risultato?
"Mamma, mamma, Orso sta giocando in italiano, mi ha chiesto: adesso giochiamo?", mi urla un Ennio eccitatissimo giusto il pomeriggio in cui io, abbattuta dalla tachipirina e dall'overdose di VivinC stavo cercando di dormire.

Io tendo l'orecchio e sento in effetti Orso, come suo solito, commentare a presa diretta il proprio gioco: solo che stavolta lo fa in italiano.

Stasera, mentre al buio parlo al telefono dal mio letto e scaccio i figli che vengono ad interrompermi per chiarire chi ha cominciato esattamente a picchiare l'altro (che non me ne può importare niente, se la vedano da soli se proprio insistono a picchiarsi, io ho il mal di testa da ieri), urlo a Ennio:

"E per favore chiudimi la luce" che la testa mi si spacca.
"Si dice la spengo", ribatte lui.

Ecco, ma a me chi me l'ha fatto fare ammalarmi a Roseto per mandarli a scuola, se poi cominciano subito a riprendermi e farmi la lezione? 'Sti batavi, con il ditino sollevato.

PS: la faccenda del ditino ammonitore volta ad insegnare e moderare pare sia un vizio nazionale degli olandesi, che se lo dicono da soli, evidente residuo del passato coloniale in cui partivano per civilizzare i popoli selvaggi. Ecco, non so dei selvaggi, ma il ditino, tutto vero. Lo fanno ancora, per il tuo bene.

Rientro

Siamo tornati. Orso è riuscito a farsi venire un tot dei suoi noti attacchi di rabbia per strada, per la precisione:
  • nel preciso momento in cui abbandono il carrello e ho in collo tre borsoni e svariate giacche e maglioni + tutto il materiale di lettura (degno di una piccola biblioteca circolante) in mano e vorrei mettermi nella coda della sicurezza, ora vuota, ma una numerosa famiglia si sta avvicinando e se passano prima di noi è la fine. Mio figlio si sdraia per terra e rifiuta di seguirci. Cerca anche qualcosa da prendere a calci.
  • nel momento in cui siamo riusciti a conquistare tre posti vicini e con finestino nella fila 5, ma i borsono riempiti e risvuotati di maglioni, libri ecc. vanno sistemati nel vano, e non ci entrano per millimetri e sto ridistribuendo cose. Orso è offesissimo che l'accordo capestro prospettatogli dal fratello non lo fa sedere vicino al finestrino. Ogni tentativo salomonico di mediazione si arena sul fatto che entrambi, volendo, sarebbero disposti a fare metà volo a testa vicino al posto ambito, ma che nessuno vuole farlo come seconda parte. La hostess continua a tenermi d'occhio e ricordarmi che il borsone che ho messo sotto i piedi di Orso non ci può stare per questioni di sicurezza, sporge troppo (e ti credo, da vuoto ha le misure massime precise volute da Ryanair, ma adesso è strapieno. Non lo è tutto, ma un paio di punti sono irrimediabili).

Risolvo per esaurimento: schianto sulla seda, mi scuso in polacco con la hostess (tutto l'equipaggio di quella rotta è polacco, e sfrutto il famoso fenomeno di inclusione di cui parlavo un paio di post fa) che mi fa fare come mi pare, tanto tutto il volo ha bagagli assurdi.

Lascio Orso cuocere nel suo brodo anche se trovo abbia ragione, ma imparerà a non farsi fregare dai sofismi del fratello. Li accompagno al bagno le infinite volte che lo chiedono (poi il capo mi informa che Ryan air pensa di mettere anche questo a pagamento, ed è la volta che smetto di volare Ryan Air, che tanto comodissima manco ce l'ho).

Gli compro la coca cola e i Maltezer, questi ultimi glieli doso come psicofarmaci, che per tener buoni i bambini nessun metodo funziona bene come il caro, vecchio ricatto.

Approdiamo a Weeze, che il capo è lì da un minuto preciso e non è nenche riuscito ad andare in bagno, il poveruomo. Gli consegno mentalmente i figli, che con tutto il bene, io sono stroncata dall'inluenza e dai due giorni a guidare, e non li sopporto più. Se sento ancora una volta dire mamma, urlo.

Poi ci fermiamo a mangiare in un terribile ristorante per camionisti olandese, che quelli tedeschi erano chiusi. Poi devono andare al bagno, e il capo con nonchalance fa:

"Vai tu?" che ancora chiedono a me.

Poi che devono a tutti i costi andare al bagno dei maschi (cosa su cui è stato a lungo dibattuto nei soggiorni in Italia e che sono costati, questi dibattiti, ulteriri crisi di rabbia di Orso, che ama sdraiarsi in queste circostanze, sofismi con Ennio, code perdute e mai più ritrovate al check-in - a che pro arrivare due ore prima se all'ultimo moento qualcuno deve fare la cacca?)

Torno al tavolo: "amore, meglio che vai tu, Orso deve fare la cacca e sono tutti e due al bagno degli uomini con un tizio, io non ci posso entrare. Cosa ti ordino?"

E in macchina schianto. Che il ritorno è anche questo, guida qualcun altro.

venerdì 27 febbraio 2009

Dall' Umbria

Oggi torniamo ad Ancona a prendere l' aereo e tornare a casa.

Aggiornamenti seguono.

(E si, me l' hanno detto in un sacco se sapevo dell' aereo caduto a Schiphol. Adesso lo so anch' io).

mercoledì 25 febbraio 2009

Forms of address

Rientrare in Abruzzo mi riconfronta sempre, in modo piacevole, con il "tu" di default. Che noi abruzzesi diamo del tu a tutti, non per eccessiva informalità, ma proprio perché ci viene così. La formalità, quando serve, la esprimiamo chiamando qualcuno " signore" o " signora".

E in genere quest' ultimo appellativo ci mette dentro anche la distanza. Tranne per mio padre, che dava del tu a tutti, ma che le signore sposate, a meno che non fossero proprio di famiglia o quasi, gli sembrava brutto chiamarle per nome. E così lo si sentiva salutare dall' altro lato della strada: " Signora, come sei bella stamattina, tuo marito dev' essere proprio contento" e lui lo diceva così, senza pensarci eccessivamente, spargeva complimenti come lubrificante sociale perché era un ex-timido e si terrorizzava se qualche femmina in crisi ci vedeva dell' altro. E correva da mia madre urlando "Margherì".

Questa cosa dell' evitare a tutti i costi di nuocere al buon nome di una signora sposata l' ho riconosciuta ed amata nell' amico Vincenzo, che aveva il dono del baciamano (alle signore sposate) e dello sbaciucchio sulle guance alle altre. Finché non gli ho fatto notare che essendo mezzo mondo al corrente del fatto che lui fosse a cena almeno tre volte alla settimana a casa nostra rischiava di compromettermi con quel baciamano insistito, che poi magari la gente pensava che avevamo chissà cosa da nascondere. Lì ha ceduto, che va bene il formalismo e dio sa se il mio coté polacco non ci sia abituato, baciamani e inchini compresi, ma il mio lato abruzzese a volte ci patisce.

Ecco, il mio lato abruzzese, con mia madre che da brava polacca, verso gli otto anni mi ha spiegato con la massima serietà che a chiunque abbia almeno 5 anni più di te bisogna dare del lei. al che mi feci un rapido calcolo per concludere che Tonino, il fratello grande della mia amica e vicina Dalila, rientrava nel lei. Solo che lui a mia madre, e anche a mia nonna dava del tu.

Zia Maria Laura invece dava del voi a tutte le sorelle della suocera, un tratto che me la rendeva molto cara, ma c' è da dire che zia Maria Laura è sempre stata tra il cuginame di mio padre il grande esempio di mia madre.

E a proposito del voi, quando studiavo linguistica e mi leggevo articoli su tutti gli argomenti possibili e immaginabili, ho imparato per esempio che dare del voi, per i napoletani, funziona come strumento di inclusione o esclusione nel gruppo. Cioè, se ti danno del voi ti riconoscono implicitamente come membro del proprio gruppo di appartenenza.

E così funziona il tu dalle nostre parti, per cui ogni negozio in cui entro, in particolare i supermercati, mi sento riconoscere come uno dei nostri dal semplice fatto di sentirmi dare del tu.

Che poi non è neanche l' unico appellativo degno di rilievo. A Tortoreto nella mia scuola gli attaccabrighe cominciavano a darsi del " parò" prima di venire alle mani. Degli sgnorfoli di 8, 9 anni che si urlavano per 10 minuti prima di attaccare. Io ci mettevo molto meno, prima menavo poi ascoltavo le spiegazioni. ma i maschi, si sa, hanno tutti i loro rituali inutili per stabilire la posizione rispettiva nelle gerarchie del branco.

Io chissà che mi immaginavo significasse, poi ho capito che parò è semplicemente il titolo del padrone del peschereccio, che con la democratizzazione è un titolo che non si nega a nessun marinaio (anche questo inclusivo, nel senso che se lo dicono tra di loro).

Invece la cosa buffa è l' evoluzione che la democratizzazione ha portato a signor/a. che adesso, proprio perché non si nega a nessuno, il latifondista lo distingui perché in paese lo chiamano don o donna + il nome proprio, visto che siamo in confidenza, e dandogli sempre del tu. a meno di esserne il contadino, che in tal caso lo chiama il compare, per ovvi motivi. Che se hai un padrone, per forza di cose, tanto vale farselo compare. Peccato sia sempre a senso unico.

I veri compari e commari, invece, sono più dei parenti di sangue, certe volte. In parte perché te li scegli tu, ma neanche poi tanto. I nostri compari e commari a Tortoreto sono sempre stati i Biancò (questo ovviamente è il soprannome della famiglia, non il cognome), perché all' epoca in cui mia nonna ci è arrivata sposa c' erano solo quelle tre case: la nostra (che non è più nostra da tanto).

Poi c' era quella della Salvià che, l' ho capito molti anni dopo, era una pinciaia, una casa di
terra cruda tipica della zona. Il giorno che la buttarono giù, per far spazio a quella che sarebbe diventata la casa del mio amico Mauro, eravamo tutti a guardare come una gru con una grossa palla la buttava giù. Si sbriciolò, letteralmente, davanti ai nostri occhi. Erano i primi anni ' 70 e lì cominciò quella fame di costruire che ha modificato irrimediabilmente tutta la nostra costa.

E poi c' era la casa dei Biancò nostri compari, in cui la linea dei comparati e commarati si è fermata a mio fratello, a cui Alessandro ha fatto da testimone. Ma tanto io e Rossana, senza saperlo, abbiamo proseguito la linea dei figli paralleli. Noi due, nate a due giorni di distanza grazie (pare) a una famigerata cena a base di Pedro Jimenez, riportato da suo padre che faceva la Spagna, e i nostri figli, tutti e quattro nati a due a due con pochi mesi di distanza.

Per dire, il sangue non è acqua, ma i compari e le commari sono, a volte, anche di più. Se poi sono i tuoi unici vicini, si fa subito a fargli battezzare ogni bambino.

A Ofena invece c' è un' altra tradizione, quella delle comari di san Giovanni. Noi avevamo la comare Silvia, grande amica di mia nonna (che era la loro commare Peppina), i cui due figli erano amici del cuore, e la cui figlia abbiamo sempre chiamato comare Maria.

Fino a che, interrogandomi su come funzionava precisamente quel rapporto lì, non scoprii che non c' erano di mezzo battesimi, matrimoni e cresime (come per esempio il compare Italo, che era stato compare d' anello, ovvero testimone di nozze dei miei genitori), ma che Peppina e Maria erano comari di san Giovanni.

La cosa funziona così: se si ha una cara amica con cui si vuole suggellare ancora di più l' amicizia, a san Giovanni le si manda un regalo accompagnato dalla formula:

il dono è piccolo, l' affetto è grande

accetta la commare di san Giovanni

al che la commare accetta, se crede, rimandando ad un' altra festività che non ricordo un altro dono con la relativa formula.

E allora, visto che del tu, del lei o del voi puoi darlo a chiunque e se ci sono significati speciali va a interpretazione, io a un certo punto ho deciso di mandare un regalo a san Giovanni all' altra Silvia, la nipote della comare Silvia.

Che morte le nonne, una comare Silvia a casa nostra proprio ci mancava. La comare Peppina invece mi sa che deve proprio aspettare: che a parte che questa faccenda di Gnorpo 3 è ancora tutta un' incognita, ma onestamente, non so se chiamerei Peppina una figlia. Già lo hanno fatto a me questo favore.

sabato 21 febbraio 2009

Carnevale tribale: the real mcCoy

vi avverto che questo è lunghetto ma ne vale tanto la pena. Oppure guardate le figure, che ne ho di migliori se riuscissi a visualizzarle, ma le aggiungerò in seguito


Allora, uno dice: vado ad Offida al carnevale. Ma Offida dove sta?

"Dopo l' ospedale prendi il bivio per Acquaviva Picena" mi dice il Figurt. Ed è verissimo, tornante tornante ci arrivo pure.

Arrivata incrocio un figuro biancorosso vestito che mi fa cenno che il parcheggio è pieno. Proseguo, dopo l' Api mi imbuco per una discesa e seguo la massa biancorosso vestita. 85% offidani doc, il resto imboscati, mi dice il Figurt che fino allo scorso anno si imboscava anche lui, quest'anno arrivato all' ultimo momento, con morto in volo e atterraggio di emergenza a Basilea per scaricare la salma (certa gente ha una vita interessante a prescindere), arriva a casa solo per scoprire che la sua guazzarò era ancora imbrattata di vino cotto e ha rinunciato.
La guazzarò, la tunica contro la guazza dei campi indossata dai contadini, è il costume ufficiale del carnevale, oltre a un altro tipo di abbigliamento. (che se windows riconoscesse il dischetto di foto che ho messo nel drive ve le potrei pure pubblicare, ma Technology fails me come al solito).

I biancorosso vestiti indossano praticamente le mutandone a metà polpaccio con le trine di Hobby Hollie. Sopra, camicina in tinta, berretto e calze rosse, fiocchetti rossi e un gilè nero con la testa del bove applicata in tutte le salse.

Essendo poi che Offida è anche la patria del merletto a tombolo la maggior parte dei bovi è stato creato da pazienti nonne ai fuselli. che pare che le nonne ad Offida abbiamo come compito fondamentale nella vita quello di creare e manutengere gli abbigliamenti rituali della prole e nipotame.

Figurt mi fa arrivare in fondo a una discesa fuori dalle mura, verso un garage in cui è conservato il bove. Che non crediate che abbia fatto le cose a metà, io ho assistito direttamente all' uscita, consacrazione, processione, corsa, uccisione rituale e sconsacrazione del bove che da oggetto rituale è poi ritornato l' involucro di cartapesta che era e che resterà fino al prossimo anno.

Il bove viene tirato giù da un rimorchio tra ali di folla festante. Ogni anno una confraternita a turno se ne occupa, compreso il rimessaggio in luogo segreto.

La confraternita ha anche come compito quello di impedire che il bove venga toccato da mani profane, attività che va accompagnata da spintoni e cordoni umani che bisogna trovarcisi in mezzo con una Canon da proteggere sotto l' ascella sinistra, che il capo ha minacciato cose indescrivibili se gliela danneggio, non come quest' estate che si è fidato a darmela per fare un paio di foto in spiaggia ai bambini e da allora brontola che ci ha ritrovato dei granelli di sabbia.

"Qui è meglio non avvicinarsi troppo" mi avverte quel fine antropologo del Figurt "perché è la parte di festa tutta loro e si seccano se si impiccia gente da fuori". Che i rituali tribali sono a numero chiuso per definizione.

E a giudicare dai bottiglioni da un litro e mezzo già ampiamente smezzati che la gente porta al collo, e la mia esperienza di gruppi ubriachi alle feste di paese, gli dò santamente ragione. Che il vino cotto, o vino ciu ciu come lo reclamizzava un cartello nella pizzeria in piazza, fa parte del rito. A quelli di fuori dannno ormai del vino comprato in giro, quello di produzione propria è riservato agli insider.

Poi è cominicata la passatella di riscaldamento. Due persone si infilano la sagoma del bove in testa, e ciechi e sbronzi cominciano a correre su e giù, accompagnati dai membri della confraternita che li fanno svoltare con grandi curve proprio mentre stanno per schiantarsi contro qualcosa o buttarsi nel vuoto.Tutto è assolutamente privo di grandi controlli, se non quello dei conducenti sbronzi, che peraltro hanno iniziato a bere il 17 gennaio, giornata ufficiale di apertura del carnevale.

Il che mi fa capire perché Alberto mi ha assolutamente sconsigliato di portare i bambini. A ogni giro movimenti scomposti tra la folla creano ondate di vuoto per evitare di farsi incornare dalla faccia ottusamente vuota del bove, cieco e crudele come un dio indifferente. (Che le corna sono vere).

"O, o, o, o, o, o, o" incita la folla la corsa del bove. Ogni giro si alza la carcassa ed altri due confrati si infilano sotto e ricominciano la loro corsa orba.

"Quando cominciano i riti orgiastici?" si informa l' amico di Alberto, anche lui qui per la prima volta. Domanda che cade nel vuoto.

Correndo correndo si ritorna verso le mura della città e la processione si avvia per una viuzza stretta e serpeggiante, dal nome bellissimo: via del Serpente Aureo.

Che le origini del nome di Offida sono controverse: o deriva da oppidum, oppure da ophis, per l' appunto serpente.

Con il sole tutto in faccia seguiamo questo mucchio di gente bianca e rossa per la stradina, che infine sfocia in una piazza irregolare, con da un lato un palazzo con un bellissimo portico sormontato da una loggia ad archetti. E da lì sopra la webcam spara nel mondo le immagini della piazza, mentre un microfono avverte la folla dei movimenti del bove.

Dopo un tot di corse il bove sparisce di nuovo per le stradine, mentre io continuo ad esplorare la folla. I bagni chimici sono una trovata geniale davanti ai quali si allungano le code.

Due ragazzi arrivano di corsa trascinandone un terzo tutto afflosciato. " Fate passare, fate passare, si sente male" (ma no? Cominciavo a preoccuparmi).


"Ma se deve vomitare, può farlo anche fuori," protestano le donzelle in attesa, che noi donzelle e le vie idrauliche, si sa.
"No, deve pisciare" chiarisce il monatto. E non è l' unico.

Il pomeriggio passa così. Con il bove che entra ed esce dalla piazza, gruppi di gente carica di fiasche e fiaschette che offre da bere in giro, le forse dell' ordine che tengono la situazione sotto controllo in divisa di gala, a ogni angolo della piazza un' ambulanza della croce verde circondata da volontari in gilé fluorescente.

Presa dal mio ruolo di osservatore esterno e non coinvolto faccio foto e comincio a desiderare la morte rituale, che ho i piedi freddi e vorrei rientrare per cena, che ho abbandonato i bambini a Maria Laura e mi sento in colpa di approfittarne così. Ma deve almeno far notte.

Alberto riemerge esultante: " Sono riuscito a toccarlo, adesso devo toccargli la coda e possibilmente strappargliela, anche se dopo mi linciano" che i riti sono cose serie e non pensi l' estraneo che sia un gioco.

Come mi spiega un ragazzo con cui abbiamo attaccato discorso:
"La sensazione che provi quando corri tutto il giorno in questa atmosfera con i tuoi amici, e bevi di continuo e poi la sera continui a bere, è una cosa a cui non posso rinunciare, è un modo unico di stare insieme agli altri".

Che il senso tribale, mica c'è così da solo, bisogna costruirlo. " Voglio venire a vivere qui" sospira Sara.
"Aren' t you afraid?", mi fa un ragazzetto scozzese dopo che io, senza spostarmi con la schiena dalla colonna della loggia, riesco a scattare un paio di primi piani al bove che mi svolta a mezzo metro.

Io più che altro conto sul fatto che gli accompagnatori non vogliano far schiantare il prezioso bove contro i mattoni e che lo fanno girare in tempo. E altrimenti si cerca di cadere in ginocchio per evitare almeno le corna.

Continuo ad avere i piedi freddi e forse sono l' unica persona completamente a secco di alcol di tutta la piazza. Che se c' è una cosa che il mio passato di astemia e il corso da sommelier mi hanno insegnato, è che non c' è gusto a bere vino mediocre.

Intanto sul selciato ho trovato un tastevin dell' AIS e so anche chi lo ha perso, l'ho fotografato poco fa, ma non lo ritrovo nella folla e mi tengo il trofeo per ricordo.

Adesso è arrivato quel crepuscolo che mi piace così tanto e su cui mi sono già dilungata in precedenza, quindi che ve lo dico a fare? Il bove non corre più a casaccio, ma viene guidato in circoli ovali intorno alla piazza nella sua ultima corsa, incitato dal gran ciambellano al microfono.

" Vai, vai, bravo, ce la fai", mentre cambia anche il grido.
" Eh, eh, eh, eh, eh, eh" vedo al centro della piazza e del bailamme un incosciente con un bambino piccolo in costume sulle spalle, ma se sei del giro sai anche cosa è pericoloso e cosa non lo è. Spero.

Il Figurt riemerge da una corsa dietro il bove e mi annuncia euforico:
"L' ho toccato, l' ho toccato due volte e poi gli ho toccato le corna e anche un pezzetto di coda".
Le palle no? che mi sembrerebbe anche una cosa adatta, mi verrebbe da chiedere, ma mi faccio i fatti miei.

La colonna della loggia sulla quale si consumerà la morte rituale del bove e che non ho mollato nell' ultima ora e mezza viene difesa adesso da un cordone di persone, uomini soprattutto, ma anche donne, che si tengono stretti insieme e respingono chi voglia avvicinarsi al corridoio verso cui verrà condotto il bove.

E il bove si avvicina e mi ritrovo presa in mezzo tra il cordone tra noi e il bove che mi respinge e la folla che mi preme dietro tutti con il braccio allungato per toccare una volta il bove taumaturgico e io, dimentica della Canon, del capo, del mio ruolo di osservatrice esterna, allungo anch' io il braccio, poi vengo tirata indietro da un movimento della folla e in quel momento mi accorgo che anch' io VOGLIO toccare il bove, mi tiro di lato per rimettere nello zaino la Canon che tnto si sono definitivamente scaricate le batterie e ributtarmi in mezzo, ma ormai è passata, la folla grida, le grancasse suonano e poi, finito.

Entra la banda, il bove viene sollevato, riportato in processione per le vie intorno alla piazza su cui rientriamo, nel processo opposto e speculare a quello della sua consacrazione, una processione che lo ritrasforma in quell' oggetto inanimato che era e che per un pomeriggio all' anno non è più.

La processione passa tra porte e finestre aperte, davanti alla casa di riposo dal portone spalancato, da cui un vecchio su sedia a rotelle sta lì con un sorriso tremolante da orecchia a orecchia a guardare il simulacro che rientra.

Da una serie di terrazze sulla via del Serpente, i terrazzani, i latifondisti che non partiecipano ma assistono ai riti del popolo, guardano sfilare la folla festante.

Che certe volte capisci che il feudalesimo in questo nostro paese non è mai finito e che la TV è diventato il vitello d' oro a cui ci rivolgiamo e che non ci ascolta. E allora una volta l' anno il sovvertimento carnevalesco del bove finto continua ad avere un gran senso.

Carnevale tribale

Ieri sono stata al carnevale di Offida, la manifestazione de lu bov fint. Le foto le carico alla prima occasione, e ve lo raccontero con calma, che adesso ho una connessione minima.

Dove si è svolta l azione lo vedete qui.

Un reportage altrui sta qui.

Datemi un computer e vi racconto la mia versione dei fatti. Documentata. Con la testimonianza in diretta di Albert Figurt e i suoi amici

giovedì 19 febbraio 2009

Ritorno a casa

Oggi pomeriggio abbiamo fatto la toccata e fuga a Ofena. E io mi sento sempre bene quando faccio la strada da l' Aquila a Bussi, che passa per tutti i paesini della transumanza di fianco al tratturo. Mi sembra di transumare un po' anch' io.

La strada l' hanno sfregiata di rotonde tra il bivio per Caporciano e quello di Navelli, e spero si fermino lì.

Arriviamo verso le 16 per le piane ancora piene di sole, ci fermiamo al cimitero, facciamo un ripasso veloce di parenti a cominciare da mio padre per finire con i miei bisnonni. che a me piace questa cosa delle visite al cimitero tipo pic-nic.

Mia madre, a un certo punto, ha preso quest' abitudine di farsi le foto di gruppo intorno alla lapide, che all' inizio mi sembrava tanto strana, ma capisco che di 4 fratelli sparsi in quattro paesi diversi e due continenti, anche il gruppo di famiglia intorno alla tomba è un ricordo che vuoi tramandare.

Ora che a Pasqua arriva in Polonia suo fratello da Chicago, mi sa che ne arriverà un' altra.

Dicevo però di Ofena. Da Maria Teresa i bambini si sono goduti il caminetto, una presenza costante dei miei ricordi d' infanzia, ma che credo loro vedano per la prima volta. Maria Teresa è la supervicina come ce ne sono tante. Fa servizi e favori a tutti, va in campagna, raccoglie e coltiva cose con cui cucina benissimo.

Mi ha aggiornata sull' ultimo paio di morti, una sua cugina e il dirimpettaio della Macchietta (la Macchietta è la piazzettina davanti casa sua). Ci ha offerto un rosso d' uovo col tuorlo delle sue galline, anche questa una scoperta recente dell' estate scorsa. Ennio l' ha sbafato, prendendosene anche mezzo di Orso, Orso ha nicchiato e me ne ha offerto la metà avanzata.

Poi siamo andati a casa, mi sono fatta un giro di tutte le stanze mentre i bambini giocavano con una chiazza di neve sopravvissuta nella zona d' ombra della terrazza. Ho controllato le tre piante di violette che crescono tra i gradini, desiderando poter avere un po' di tempo per candirmele, una volta.

Sono passata al volo da Stefania al bar, che ieri mi ha mandato un messaggio ritrovandomi su Facebook e oggi mi si trova davanti, poi da Giacinta ancorta più al volo, per consegnare i poster del corso di cucina e italiano dell' estate prossima che vorrei appendessero in negozio.

Mi è venuta questa voglia enorme, prima di partire, di andare almeno una notte a dormire a Ofena. Che come dormo io lì, da sempre, in nessun posto.
Anche senza riscaldamento e senza legna, che quest' inverno non era previsto nessun soggiorno.

Buffa cosa la nostalgia e le radici. Come sto bene ad Ofena, in nessun posto. Ma se dovessi viverci sempre, temo uscirei di testa in due settimane, specie se in inverno, quando la nebbia rimane nella valle per settimane e i vicoli ghiacciano e non puoi uscire di casa.

Per questo la maggior parte degli ofenesi vive fuori Ofena sparsi in 5 continenti, e quelli che restano, alle amministrative, in 600 metton su 6 liste e passano mesi a complottare.

Poi ripartiamo nel crepuscolo, con le sagome delle montagne che si staccano appena contro un cielo poco meno scuro.

Giretto per L'Aquila

Siamo arrivati all'Aquila in un pomeriggio assolatissimo, infilato tute e scarponi ai bambini e siamo usciti subito a guardar bene la neve, che quest' anno pare ci siamo attrezzati tutti.

Ennio e Luc, che si saranno visti un 3 volte e mazzo in vita loro, hanno fatto tutta la salita da via Strinella a piazza san Bernardino lanciandosi palle di neve. Orso staccava i ghiaccioli dalle carrozzerie delle macchine e pretendeva di mangiarli.

A San Bernardino ci siamo fermati ai giardinetti a fare un tentativo di pupazzo di neve. Orso, l' unico senza pantaloni impermeabili ma con la calzamagna di Superman sotto, che evidentemente fa tanto anche lei, si è buttato come corpo morto cade a terra per fare l' angelo.

(Che l' angelo avevo imparato a farlo in Polonia, ma lì che sono patriottici lo chiamano l' aquila, quella bianca dello stemma, in campo rosso).

Poi siamo andati a comprar lonzini, salsicce e salami da Peppone, dove un branco di affamati (non entrateci a stomaco vuoto) si è avventato sulle fettine di salsiccia. Il cui sbocco naturale è l' assalto alla pizzeria accanto.

Nel frattemo lo spinacino unenne si è scongelato abbastanza da cominciare ad emettere dei sonorissimi "Aaaaam" e mangia allegramente anche lui.

La grande scoperta della serata comunque è il caffé Polar, in via Santa Giusta 17/21, una traversina tra costa Masciarelli e Piazza Santa Giusta.

Si tratta di un caffé con annessa libreria/negozio di dischi e film. I bambini si scatenano sul tavolo dei libri adatti a loro, e poi trascinandosi due edizioni rilegate enormi di Richard Scarry si accomodano in un angolino, sul divanetto annessa lampada da lettura, per sfogliarlo.

Ha ragione Vic, hanno un modo di esporre i libri che ti mette sotto il naso quei titoli che magari non conoscevi, ma che sono esattamente quello che vorresti leggere.

Usciamo di lì solo perchè Spinacino sta arrivando inesorabilmente alla danger zone e dobbiamo ancora andare a casa. Le discesine e le scalette sono troppo ghiacciate, a nostro avviso, per scenderle con passeggino e tre slittatori stanchi, prendiamo quindi il sottopassaggio con le scale mobili che dal centro ci potra direttamente sotto, alla stazione degli autobus (probabilmente il progetto infrastrutturale più geniale della pubblica amministrazione aquilana) e da lì risaliamo via strinella, accompagnati da un pastore abruzzese a piede libero, che se dipendesse da orso ci riporteremmo in Olanda (" Mamma, lui è davvero mio amico").

Temo che stavolta la toccata e fuga aquilana finisca qui. Ma ci voleva tutta, e il caffé Polar mi sa che ci torniamo.

Ci stavo riflettendo martedi sera: a me in inverno piace molto il crepuscolo, quell' uscire a far commissioni tra le 16 e le 18 con i bambini, che nel frattempo magari hanno dormito o fatto cose utili.

L' aria è fresca, è quasi buio, e le strade sono affollate e le vetrine belle accese. In Olanda alle 18 non esci, devi essere proprio in pigiama dietro le patate, le strade sono vuote e i negozi chiudono, quindi dovunque tu vada ti ritrovi il deserto dei tartari in torno, cosa che mi deprime e mi rovina il miglior momento della giornata.

A me questo cambiamento di bioritmo mi rende la vita dura: si corre come pazzi per arrivare interi a quel magico punto delle 18, con la cena pronta e la tavola apparecchiata, e poi in qualche modo la giornata è finita, e a me viene voglia solo di ficcarmi a letto e leggere o stare dietro al computer. Mi si mangia così inutilmente un buon quarto di giornata.

Inutile che mi dicono: si, ma alle 19.30 i bambini sono a letto e hai tutta la serata per te. A me una serata del genere non aggiunge piacere nella vita.

(Stanotte però mi sono letta il libro di Soulemama sulla creatività con i bambini e la vita in famiglia, e mi sono venute un sacco di idee, per quando avremo la cucina, e un paio applicabili già adesso).

mercoledì 18 febbraio 2009

Neve

Poi mi sveglio stamattina, vedendo dalle persiano che la mattinata di sole come ieri oggi non è cosa, e nevica. Cavolo, proprio oggi e domani che volevo fare la capatina all'Aquila.

Ieri siamo andati a mangiarci un dolcetto da Mauro, la mia pasticceria preferita a Tortoreto. E mentre la signora ci riempiva il vassoietto di mignon, io mi stavo finendo per devozione una fedora e Ennio la ciambellotta fritta, mi fa:
"Mamma, ma perché in Italia è tutto più buono?"
Core mè, bello di mamma, vedo che non tutto è stato inutile.
"Ma sai, in Olanda pensano di più che sia importante mangiare una cosa bella, noi invece la vogliamo buona, questione di gusti".
"Ma questo è bellissimo".

"Signora, grazie, era buonissimo".
La signora si è commossa.

Io dico qui che se qualcuno vuole un testimonial di sette anni bellissimo per pubblicizzare qualsiasi cosa di agro-alimentare approvato dalla mamma, qui stiamo.

martedì 17 febbraio 2009

Partenze, arrivi

Evidentemente anche se non sono superstiziosa, non dovevo partire di venerdi 13. Ci abbiamo riprovaato lunedi, siamo arrivati ottimamente, oggi entrambi i bambini hanno frequentato una scuola elementare di roseto, con graande curiosità da entrambe le parti. Ci andranno ancora un tot di mattine, e vediamo cosa succede.

Siamo andati a tagliarci i capelli dall' amica Gabriella, che solo per il prezzo mi converrebbe riprendere il low-cost ogni due mesi, per tagliarci i capelli. Stamattina presto c' erano tanta luce e sole fuori, adesso vediamo cos' altro mi porta questo soggiorno di rottura con il winterblues.

domenica 15 febbraio 2009

E io me ne vado

Ieri il capo voleva andare al Free Record shop prima del gelato, che sta in un seminterrato.
Bene ho detto io, tu scendi con Orso, io vado qui di fianco all'esprit e ci troviamo qui davanti, io mi porto Ennio.

Ennio invece voleva il gelato subito, io gli chiedevo di pazientare un minuto solo, e arrivati alle mutande in svendita al 70% ha detto "e allora me ne vado" e mi ha piantata lì. Io non l'ho seguito subito, perché ci pensasse. Che non può ricattarmi. Poi però sono uscita e non c'era. Sabato pomeriggio, isola pedonale con i negozi affollatissima.

Scendo dal capo, lo informo che vado in gelateria a vedere, che secondo me la strada la sa, e semmai torno indietro o ci vediamo lì.
"Hai capito quale, esci di qui, a sinistra, poi di nuovo a sinistra e all'angolo col canale dove abbiamo lasciato le bici".

In gelateria non c'era. Lo descrivo e gli chiedo, se arriva, di dirgli di aspettarmi lì che torno subito.
"Non si preoccupi signora, se arriva lo blocchiamo".

Mentre torno indietro per la stessa strada, mi dico che non ho pensato a lasciare il numero di telefonino. Torno al negozio di partenza, è li davanti. Abbastanza tranquillo anche lui. Non so se strozzarlo, in fondo non mi sono preoccupata subito ed eravamo ancora nei tempi di aplomb della mamma non ansiosa che ho faticato tanto a cercare di essere.

"Scendi innanzitutto giù a vedere se c'è papà e dirgli che ti ho trovato, poi parliamo se ti meriti il gelato".
"Papà è uscito, l'ho visto, ero salito sulle scale mobili, poi quando è uscito mi sono nascosto, e lui è andato via con Orso".

Torniamo in gelateria, stessa strada. Intanto gli spiego che non deve farlo più, che se io non fossi tornata indietro e fossi andata a cercarlo da un'altra parte, lui che faceva? E poi mi toccava andare dalla polizia.

In gelateria gli altri maschi non ci sono. Mi sento chiamare da dietro, erano Anna e il marito. Mi scuso, dico che ho fretta di ritrovare il marito che la sua incazzatura mi stressa più della sparizione del figlio, e se lo vedono di dirgli di aspettarci in gelateria. Torno indietro per un'altra via ritorniamo al punto di partenza e li vediamo uscire dal negozio famigerato dell'inizio.

Ma Ennio mi ha detto di averlo visto andar via?
"Dove eravate? Siamo stati due volte in gelateria", fa.
"Anche noi, che strada hai fatto?"
"Lungo il canale".

Cioè destra destra. Mentre io avevo detto sinistra sinistra. E ho detto ci vediamo lì, cazzo fai che non mi aspetti e poi ti lamenti che sei stato due volte in gelateria? Una volta ci dovevi andare, per la strada che ho detto io e se ci arrivi e non mi vedi restarci finché non trovo il reprobo.

Il problema degli uomini è che sono incapaci di seguire le istruzioni più semplici. E io me ne vado, se non la piantano.

Poi è finita che io e i bambini abbiamo preso il gelato e lui no, ci ha aspettati fuori. In gelateria ci hanno salutati come il figliol prodigo. Ma quando siamo arrivati alla bici ha accettato di finire il mio Macadamia Brittle.

Signore, continua a donarmi la pazienza. E non farmi perdere le belve più di tanto. Un angelo custode, per esempio, o mi tocca fargli impiantare il chip sottocutaneo, che sono contraria per principio.

Bilinguismo 1: ambiente e "peer pressure"


Di bilinguismo parlo ovunque, adesso anche nei commenti al post in cui abbiamo perso l'aereo. Ma un articoletto dedicato non ricordo di averlo mai fatto, quindi ne approfitto qui di corsa.

Comincio con una barzelletta belga:
qual è la definizione di una persona che parla due lingue? = bilingue
qual è la definizione di una persona che parla una lingua sola? = Vallone

che notoriamente in Vallonia, la parte di lingua francese del Belgio, pochi, ma diciamo pure nessuno, sa il fiammingo, alla faccia di chi crede che il Belgio sia un paese bilingue.

Parliamo anche dell'approccio scientifico: c'è chi sostiene che il bilinguismo perfetto non esista e in piccola parte ha ragione, quantomeno non è una cosa che salti fuori spontaneamente, bisogna farsi un gran culo, signora mia.

Allora, io sono la tipica bilingue mancata. Mia madre, che era appena arrivata in Italia quando sono nata, ha spontaneamente cominciato a parlarmi polacco e questa è stata anche la mia prima lingua, sebbene vivessimo a Sulmona. Ciò fino al giorno sono corsa verso un gruppo di bambini per giocarci, chiamandoli in polacco, loro mi hanno guardato strano o si saranno messi a ridere e da allora è finita. Questa è la componente peer pressure, cioè che dai 4 i 16 anni, non ci illudiamo cari genitori, lo sviluppo linguistico di bambini e ragazzi passa per il prestigio attribuito a una lingua, gergo o espressioni da parte dei coetanei.

Un'altra cosa che mi è stata tanto tra i piedi era l'ambiente sfavorevole: cresciuta in Abruzzo, un paesino di pescatori dove tutti erano parenti tra loro, tranne io, che già bastava ad essere emarginati, io e mio fratello siamo stati definiti i polacchetti da sempre, ed è una cosa che i bambini odiano. Essere diversi dagli altri. Ci vergognavamo spaventosamente di mia madre, anche se lei è sempre stata molto apprezzata a scuola e nel circolo del vicinato. Facevamo cose strane, avevamo feste strane e abitudini strane.

Non a caso la mia migliore amica all'epoca, oltre ad averla ereditata che anche le nostre nonne e i nostri padri erano amici, aveva la mamma tedesca. Quindi questo ci accomunava e ci accomunava soprattutto il fatto di meravigliarci di meno delle abitudini diverse degli altri, anzi, lì entrava in gioco la comunanza nella diversità.
Aggiungiamoci che non è che in famiglia le cose andassero meglio. Mia nonna, santa donna, ma per una serie di complessi suoi, la mother in law from hell, aveva il terrore che se parlavamo in polacco era per parlar male di lei (come se con mia mamma non ci divertissimo da matti per conto nostro con battute e giochi di parole).

Mio padre, ecco, a lui questa cosa la rimprovero, non ha mai incoraggiato le cose, addirittura insisteva che mia madre ci insegnasse il russo, ma sul polacco era sempre un pelo sarcastico. Per questo io non sopporto l'ignoranza che si difende ridicolizzando chi quel paio di cose in più le sa, non devi fargli l'inchino, ma i fatti tuoi, magari?

Insomma, la mia santa madre ha fatto quello che ha potuto, e i risultati sono splendidi, ma anche adesso il mio polacco da adulta l'ho imparato per motivi di lavoro, grazie alle amiche polacche che ho qui, ma non certo a casa. E questo, seppure infondatamente, me lo porto dietro come un complesso.

Quanto ho odiato mio fratello, che sposatosi e aperta una ditta in Polonia giovanissimo, in un anno parlava e scriveva in modo fantastico. Ma al cuor non si comanda, e io mi sono sposata un olandese, la cui lingua che mi è stata in culo per un bel po' di anni (poi l'ho superata, si supera tutto, diciamo che anche se io non lo propongo per prima a volte mi capita di fare da interprete verso l'olandese anche da lingue mie seconde, e me la cavo benissimo).

Adesso che sto cercando, con fortune alterne, di crescere anche i miei figli bilingue, con la consapevolezza non solo di dove è andata male a me, ma anche con tutto il background scientifico di una che, non a caso, si è messa a studiare linguistica applicata e in particolare il multilinguismo, e mi rendo conto di tante cose.

Intanto che i primi due limiti che avevamo io e mio fratello da piccoli i miei figli non ce l'hanno. Fino al trasloco abbiamo vissuto in un quartiere fighetto, che ad Amsterdam vuol dire molto internazionale. Pur essendo una zona tanto bianca ed ariana, ci sono un sacco di famiglie miste e tutti i nostri amici più cari sono famiglie bilingui, in tante lingue diverse. La scuola che abbiamo scelto, pure peggio. Un caso?

Fatto sta che i nostri figli trovano sia la cosa più normale del mondo che con papà si parla una lingua e con mamma un'altra, e che a volte anche gli amici di mamma e papà parlano quelle lingue tra di loro. Persino gli amichetti al nido lo trovavano normale.
Il giorno che uno di loro, monolingue, mi è venuto a dire: "Ennio con te parla italiano perché tu sei italiana, ma lui con noi sa parlare anche olandese", ho ringraziato il cielo, perché un bambino che a due anni e mezzo dice una cosa del genere è perché lo sente dire a casa.
E a seconda degli ambienti potrebbe anche sentir dire: eeeeh, l'amichetto tuo con la mamma parla una robba strana, vero? che se è strano, nessun bambino lo vuole fare.

L'amichetto Nathan, figlio di padre ispanofono e letterato, con grande disperazione del genitore si rifiutava per anni di rispondergli nella sua lingua. Finché, un pomeriggio che stavano giocando a casa nostra, e qualcuno piangeva, e qualcuno si era fatto male, e io spiegavo alla signora colombiana che mi aiutava cosa fosse successo, improvvisamente si è immesso nella conversazione, in spagnolo, per giustificarsi: "No, non sono stato io a spingerlo, è scivolato".

Poi i suoi si sono fatti un circolo di amici che parlavano spagnolo, i cui figli anche lo parlavano con i genitori, sono andati una volta a trovare i nonni, e ben presto ha ripreso il livello d'ingresso richiesto dalla scuola spagnola.

Ma il mio accento italiano lo affascina talmente tanto, che delle volte mi sfotte parlando spagnolo con il mio accento.
"Per colpa tua ho un figlio che parla come un argentino", mi fa il padre disgustato.

Anche per questo ho insistito tanto per metter su la scuola di italiano per bambini. In realtà per un certo periodo ho approfittato dell'amica Cinzia, e di suo figlio, poco più grande di Ennio. Pur non conoscendosi, sono immediatamente andati d'accordo secondo me anche per quel senso di familiarità che dà loro la lingua non dominante in comune. Nei miei figli il processo è chiarissimo, chiunque in Olanda parli italiano lo considerano un parente.
Lo stesso ce l'ho io con il polacco: il polacco medio non mi piace, non ne amo la mentalità, il machismo, la propensione all'alcool, ma tutti i polacchi che incrocio all'estero mi stanno di botto simpatici fino a prova contraria. E come mi fa sentire a casa l'odore della cucina di Marta, manco casa mia.
Ennio e Jacopo si parlavano in italiano e io paventavo con terrore il momento in cui, se si fosse unito un amichetto olandese, avrebbero scoperto che potevano parlarsi più facilmente nella lingua principale.

In realtà ci ha pensato suo padre a fare quello che in inglese si chiama così bene screw everything up. In vacanza insieme in Abruzzo, lui italiano che insisteva a parlare olandese al figlio per non farglielo dimenticare in vista della scuola imminente, ha parlato in olandese anche a Ennio e da allora non si sono mai più parlati più in italiano. Giovanni, se leggi questo sappi che te ne sono ancora grata (ingegneri e beta vari non dovrebbero mai pensare di capirci qualcosa di linguistica, fanno solo danno).

Conclusione: con i figli, per piacere, lasciate perdere gli esperimenti e le posizioni di principio. Parlateci solo la vostra lingua madre, azzardatene un'altra solo se la sapete a livello native, accento compreso e non impicciatevi. Insistete sempre, anche se per pigrizia cominciano a rispondervi in un'altra lingua. Buttategliela sul gioco, sulla lingua vostra segreta che gli altri non capiscono, ma non smettete mai.

Da questo punto di vista trovo eroica l'amica Virginia. Tipica madre napoletana di figlia inappetente, ed entrata nel circolo vizioso di imboccare la figlia fino alla maggiore età per due ore tutte le mattine, ha soprasseduto solo in nome della lingua madre.

Quando Dafne verso i tre anni è arrivata nella famigerata fase in cui tenta di parlare una lingua sola, che si fa meno fatica, magari chiedendole l'acqua o il pane a tavola in olandese, lei glieli rifiutava fino a che non li chiedeva in italiano. Che per la madre di figlia inappetente, ripeto, è qualcosa che va molto vicino alla santità.
Il che, appunto, non lo ripeterò mai abbastanza. Non mollate. Né per stanchezza, né perché ve lo sconsigliano scuole, asili e pediatri (addirittura un paio di logopedisti, che li farei cancellare dall'albo solo per questo) perché per quanto competenti nel loro lavoro, di sviluppo linguistico bi- e multilingue non sanno una beata minchia (per citare il commissario Montalbano).

Voi insistete, sicuramente nel momento dell'ingresso a scuola, o dell'interazione con altri bambini, tipicamente fra i due e tre anni, c'è questa fase in cui i bambini cercano di tornare alla sola lingua dominante. Ma voi, imperterriti, continuerete nella vostra.

E quando parliamo con estranei, mi chiedono? Ragazzi, i bambini non sono stupidi, sono molto più furbi di noi. Se c'è un motivo funzionale per parlargli olandese, perché siamo compresi in una conversazione con gente che non parla italiano, lo capiscono che è una situazione particolare. Oppure dite all'interlocutore: scusami tanto, adesso devo dire una cosa a mio figlio nella nostra lingua. Chi volete che si offenda? (Una persona limitata, e quelle evito di farle frequentare ai miei figli).

L'amico Roberto, fine pedagogo anche lui e che tra l'altro ha lavorato 11 anni nei nidi olandesi e ne ha visti di bambini da 0 a 4 anni, è stato quello che mi ha sostenuto più di tutti moralmente nel periodo in cui almeno 9 insegnanti diversi dell'asilo cercavano di convincermi che Ennio avesse un ritardo nello sviluppo, tare caratteriali e che il suo ingresso scolastico sarebbe stato un inferno.

Non ci credevo, ma stavo per stressarmi di brutto (leggetivi l'autunno 2006, per avere un'idea) perché noi madri di figli 2-3enni, che allattiamo il piccolo e da tre anni non ci facciamo una notte tranquilla di sonno, siamo prede facili per chiunque, se ci toccano il benessere dei figli, e tendiamo molto ad accollarci tutte le colpe. soprattutto a sentirlo 3 volte al giorno.

Bene, l'amico Roberto, una sera a cena a casa nostra, che stava parlando olandese con una signora, si sbaglia e si rivolge in olandese ad Ennio che lo aveva sempre sentito parlare in italiano con lui. Lo sguardo di mio figlio è stato un poema: lo ha guardato come se fosse improvvisamente impazzito.

Come cavolo ti viene in mente di parlarmi olandese, proprio tu, che ormai mi sono abituato a parlarti solo in italiano?

Ecco, questa è la regola, non aspettiamo che siano i nostri figli a ricordarcela, dalla prima ecografia parlate con i vostri figli la lingua che vorrete che parlino con voi in futuro. È la cosa più semplice e naturale, e l'unica di cui non vi pentirete in futuro.

E ricordate anche questa: è scientificamente provato che i multilingue hanno 2 punti in media di più di IQ per ogni lingua extra. Il che a mio parere è strettamente collegato a quella ricerca che anni fa constatava quanto premi Nobel, in percentuale, fossero ebrei. No, non era il complotto giudaico internazionale, è che spesso gli ebrei si sposano tra loro anche se nati in paesi diversi, e che comunque una volta parlavano yiddisch in casa e la lingua del paese in cui vivevano fuori. Erano bilingue di default.

Il che giustifica una risposta datami da Sebastiano Vassalli una volta che gli chiesi se lui avrebbe ritenuto possibile, come tanti altri scrittori, poter scrivere direttamente in una lingua diversa dall'italiano. Mi inbteressava sapere se lui ce l'aveva una lingua del genere. Mi ha risposto stranito che secondo lui è impossibile e che tutti questi scrittori bilingue in fondo non esistono (io avevo citato Conrad, per dirne uno).

Ecco, questo è tipico di chi cresce in un paese strettamente monolingue, come lo sono la maggior parte dei paesi europei. Che proprio non ci rendiamo conto dei mondi possibili che esistono di fuori. (Anch'io ero così, prima di andare a studiare all'estero). Ma ai nostri figli possiamo regalare il mondo.

sabato 14 febbraio 2009

Il pane più buono di Amsterdam


Oggi abbiamo deciso di uscire, fare colazione/pranzo in città, comprare le giacche a Orso e papà e poi andare al cinema. La mia prima idea è stata quella di andare a mangiare da Gartine, che ho scoperto la settimana scorsa grazie a Gina, ma ho avuto la brillante illuminazione di chiamarli (ci entrano massimo 20 persone) ed erano strapieni e prenotati. Di Gartine vi parlo un'altra volta.

Allora siamo usciti, i maschi sulla bicicar io sulla mia, che chissà perché poi volevano salirmi tutti dietro. E siamo andati alla panetteria francese dei fratelli Niemeijer (Marco e Issa), in Nieuwendijk 35.

Il Nieuwendijk è strana come strada, parte da piazza Dam e va verso la stazione, parallelamente al Damrak, che è la via dove passa il tram. È la strada con tutti i negozi. Poi però, arrivata quasi alla fine, butta di colpo a sinistra, attraversa il Martelaarsgracht che è l'altra via dei tram (1,2,5, quelli lì) e prosegue fino al Singel. Nell'ultimo tratto è il paradiso del turismo scoppiatone, piena di negozi di souvenir orrendi, coffee-shop, negozi di semi, canne chiloom, lecalecca alla mariuana, un paio di sex shop, di snackbar ecc. E al 35 questo negozio.

Bellissima vetrina d'epoca in legno. Entri, c'è subito il bancone dove comprare il pane e una panca antica contro i muro con 3 banchi di scuola, quelli con gambe e piedi a L, e un fantastico soffitto Art Deco dipinto e con stucchi. dietro una scala scende verso la panetteria a vista, dove continuamente si impasta, affettano mele per la torta, ma con una calma estrema.

L'altra scala sale verso un mezzanino, con altri tavoli, anche più grandi, e le toilette e una stanza in fondo con un bel tappeto per terra, alcuni giocattoli sparsi e basta. E a me tutti i posti che capiscono che anche con i bambini è bello uscire, mangiare qualcosa di buono e poi farli giocare in modo che non disturbino gli altri clienti e i genitori, beh, a questi posti darei d'ufficio due stelle michelin. Anzi due stelle della Tata Michelina.

Era affollatissimo quando siamo entrati, ma una signora stava chiaramente aspettando l'altra che era in bagno per andar via e ci ha subito liberato da cappotti e borse la porzione di panca.

I bambini hanno preso la colazione francese completa, con croissant, due panini-mini-mini, una ciotolina con due cucchiai di marmellata di lamponi buonissima e una con poco burro, un bicchiere piccolo di spremuta d'arancia, e al posto del caffé o the, la cioccolata calda. Costo € 5,95, che per il centro di Amsterdam e con pane e cornetto di quella qualità, è proprio poco (un caffé costa già € 1,90).

Noi invece abbiamo scelto il panino con formaggio manchego e pomodorini semi-secchi, insalata buonissima (verdina a pois irregolari rozzi più altri due tipi) condita con un filo d'olio ed erba cipollina. Poi una spremutona d'arancia e un caffé. Praticamente ce lo siamo tenuti come pranzo.

La cioccolata calda dei bambini la fanno mettendo sul fondo di un bicchierone schiumoso di latte dei pezzetti di cioccolato buonissimo, senza zucchero aggiunto, e poi te lo mischi tu fino a scioglierlo. niente di che, ma trovalo ad Amsterdam un posto con la cioccolata fatta al momento e non dal cartone scaldata (si, ce ne sono un altro paio, ma questa era proprio buona).

Ci siamo comprati per casa una pagnotta integrale, una fougasse e un "ramo" di panini a forma di foglia tutti attaccati che già conoscevamo dal mercato biologico del mercoledi in van Eesterenlaan.

Per i miei gusti, è l'unico pane croccante degno di questo nome che ho trovato finora, e si tiene per un sacco di giorni (che domenica e lunedi sono chiusi). Il fatto che sia fatto con farina biologica da mulino a pietra francese e con livitazione naturale, ci mette anche del suo, immagino.

Poi siamo usciti e abbiamo visto che i due ometti anziani che all'andata stavano trafficando con fune, gancio e carrucola da una casa tremendamente storta, nel frattempo erano riusciti a tirar giù una credenza di quelle cinesi enormi. Che è bello ed educativo pure questo.

L'unica cosa, è che non riesco mai a mangiarmi una di quelle splendide tartelettes al limone o al cioccolato. Ma appena arriva mamma ce la porto una mattina a fare colazione.

venerdì 13 febbraio 2009

Abbiamo perso l'aereo

Un po' per sfiga, un po' per il maltempo, un po' per le code, che anche se di venerdi ci sono e lo sappiamo, questo venerdi sono state straordinariamente noiose. Anche il controllo di sicurezza ci ha messo del suo, ce l'avevamo quasi fatta, il capo vergognandosi come un ladro è persino passato davanti a tutta la fila e la tipa ha chiamato per avvertire che stavamo ancora arrivando, ma arrivati dentro, non c'era nessuno che sapesse dirci qualcosa e intanto che facevamo mente locale, l'aereo ha cominicato a muoversi.

Bon, basta, abbiamo fatto la pipì (che Orso si è tenuta in modo eroico, cioè, si è lamentato un'ora che non ne poteva più ma l'ha tenuta) ci siamo attaccati a un computer, abbiamo riprenotato per lunedi, senza capo, ma che ci riaccompagna volentieri adesso che la strada la sappiamo e prendendoci più tempo.

E poi ho detto: ragazzi abbiamo perso l'aereo, ma siamo sempre in vacanza, per cui andiamo a visitare Nimega.

Nimega, la città più antica d'Olanda, fondata dai romani, fortificata da Carlomagno, in un'ansa del fiume Waal. Fiume che all'andata abbiamo attraversato sul ponte più sfigato d'Olanda, una coda che ci stava rendendo isterici.

Ma dal ponte Orso aveva già notato all'andata una "pannenkoekenboot", una barca dove servono le scrippellone tipiche olandesi. Siamo andati, abbiamo parcheggiato sul tetto del Casino di fronte al fiume e al famigerato ponte e proprio sopra la barca delle scrippelle, abbiamo visitato un pezzetto di centro e chiesa di Santo Stefano, e mura vecchie di 400 anni, e un comune rustico e una pesa pubblica, il tutto condito da un Orso piangente che insisteva:

"A me non me ne importaaaa, io voglio andare alla barca delle scrippelleeee, che altrimenti salpa e ci lascia a terraaaa".

E spiegaglielo che quella barca lì non salpa, che è ancora giorno e non può essere aperta, che ci facciamo un giretto e ci andiamo subito. Ci siamo arresi. Siamo arrivati alla chiesa di Santo Stefano, l'abbiamo riconosciuta come quella in cui si sono sposati Bas e Iveta tanti anni fa e siamo scesi per una discesa verso il fiume costeggiata di case moderne e semplici, ma con tutti gli infissi e dei piccoli bovindi parallepipeidali tutti colorati in arancione, azzurro, verde, giallo, rosso, dei colori bellissimi e allegri.

La barcona era chiusa, ma un'altra di fianco che prometteva un mixed grill a € 14 (una notizia che in genere mi ci fa ripensare tanto, ma poi tanto) su spiedoni alla portoghese era apert e quasi piena, si sarebbe visto lo stesso il fiume e il ponte, non dovevamo camminare ulteriormente e vuoi mettere l'atmosfera e la vista, insomma, ci siamo andati.

Ci hanno fotografati e da domani ci trovate sul loro sito , ci siamo fotografati noi, abbiamo ammirato un barcone fluviale enorme tutto carico di automobili, il capo ha spiegato la corrente del fiume (fortissima, proprio sull'ansa), e per consolare Ennio dalla delusione di aver perso l'aereo, che lui le vive molto queste cose, ha bisogno di ordine e pianificazione e gli imprevisti lo stressano (mannaggia, e proprio io sono sua madre, a me mi stressano l'ordine e la pianificazione) abbiamo proposto di fare qualcosa di bello insieme nel weekend.

Lui non voleva, preferiva stare a casa a vedere un film. allora ho proposto un cinema. Che tutti e 4 insieme al cinema non ci siamo mai andti, loro un sacco con il doposcuola e la nonna, ma con noi mai.

E così ne approfitto per ricomprare un giubbotto invernale a Orso, che gli serve proprio.
Perché, ricordiamocelo, avremo perso l'aereo, ma siamo in vacanza da oggi.

Andare a piedi al lavoro

Oggi, con la mia valigia ancora da fare, quella di Ennio da correggere (miracolo come un paio di bucati notturni cambino le carte in tavola, valigescamente parlando), i maschi da raggiungere all'ufficio che arriva lo scaffale in metallo galvanizzato che solo io so come si monta, le cose del capo da portare in tintoria, la nostra vecchia tintoria dall'altro capo della città, che una nuova ancora non l'abbiamo vista, mi sono infognata in centro in macchina, maledicendo l'assessore alla viabilità, se ce ne fosse uno a coordinare tutte le deviazioni e lavori in corso che si contraddicono fra loro.

Finalmente sono arrivata sul Blauwe Brug, il ponte blu di fronte al Municipio. Il municipio è una cosa di mattoni rossi e lastroni di marmo bianco, accorpato a un cilindro basso in marmo bianco che ospita l'Opera, e che già che c'erano ci hanno fatto sotto la stazione della metropolitana, un paio di parcheggi e altre cosette di pubblica utilità.

Se superi il ponte sei sul lato dell'Amstel dove sfociano i canali settecenteschi, in centro insomma (in città, viene da dire a me, che sia a Cracovia, che a Groningen, città che amo molto, andare in centro si dice andare in città, il resto è contado, magari un po' ripulito, ma sempre contado).

Il ponte blu è anche il nostro preferito, non solo perché quando ci sei sei in centro, cioè in città, ma anche perché io ci tengo ad insegnare ai bambini i nomi dei ponti quando li so, e Orso il ponte Blu se lo è ricordato subito.

La volta successiva, in macchina verso il centro, l'ha ricordato agli astanti:
"Papà, ma siamo sul ponte Blu".
"Sei sicuro? Davvero? Cioè io non sono sicuro, Barbara tu sai come si chiama il ponte?"
"Il ponte Blu, come il quadro".

Da allora Orso, orgogliosissimo di sapere una cosa che gli altri maschi di casa non sanno, annuncia con voce squillante il ponte Blu ogni volta che ci avviciniamo ad esso, sia in macchina, a piedi, in bici o in tram.

Quindi oggi, districatami dalla tintoria in Javastraat e da tutte le deviazioni, arrivo se diovuole al ponte blu che erano quasi le 8,30, cioè tardi. E davanti a me, attraversato il ponte, vedo sul marciapiede un signore che conosco.

Un signore distinto, in cappottone lungo nero e sciarpina rossa che spunta dal bavero, che si incammina al lavoro, con la faccia un po' accartocciata a causa della pioggerellina sottile rompipalle di cui questa città ha l'esclusiva, che non ci abbassiamo a prendere un ombrello per così poco, però scocciare scoccia.

Ce ne sono altre, di persone, un paio di signori distinti in cappotto e cartelle che attraversano o camminano, ma questo qui, ricordatemi un attimo chi è che lo conosco.

È Job Cohen, il sindaco di Amsterdam, che evidentemente dalla residenza ufficiale, che immagino su uno dei canali, va al lavoro. A piedi, senza ombrello, sotto la pioggerellina. Un signore come tanti che passa inosservato.

(Ma voi, Alemanno, che peraltro se lo incontrassi non lo riconoscerei che non so che faccia abbia, ce lo vedete attraversare un ponte sul Tevere e un paio di isolati prima delle 8:30 di mattina per andare al lavoro?)

A me piace anche questo dei politici olandesi. Che se possono, come tutti, preferiscono andare in ufficio a piedi o in bicicletta. Persino una parlamentare, che ha una invalidità, ha la bici di servizio: un tandem con l'autista che l'aiuta a pedalare.

Ora, il valore maggiore per gli olandesi è che uno, non importa quanto ricco o famoso, resti una persona semplice, che non si dà arie, che se incontra qualcuno saluta per primo e fa la fila alla cassa come tutti. Se sei così ti adorano.

Ma secondo me non è questo, non solo. È che un politico che va a piedi al lavoro, vede più cose di uno che sta blindato in una macchinona blu con la sirena che corre veloce e obbliga tutti a scansarsi. È anche un politico che dimostra di avere fiducia nella gente che lo rappresenta. Che non ha paura degli altri.

Di conseguenza gli altri non ti rompono le scatole. Cioè, ad Amsterdam, a saperli riconoscere e io che non ho TV faccio fatica, gente importante e famosa ne incontri ovunque: rockstar, attori, politici, giornalisti, persino calciatori, toh. Tu sai che qualcuno abita dalle tue parti perché lo/la vedi passare in bici la mattina per portare i figli a scuola, o al supermercato o parcheggiano nella strada accanto.

"Ma lo sai che nel mio palazzo abita Louis van Gaal, l'allenatore, cioè adesso sta in Spagna, ma l'appartamento lo ha ancora lì. E quando abbiamo traslocato tutti insieme è venuto a presentarsi ai vicini", mi fa l'amica Lily. Ecco, se dovessi avere figli con ambizioni calcistiche posso mandarli a giocare a pallone nel cortile manicurato del palazzo di Lily. Gli altri ci linciano, ma vuoi mettere l'occasione?

Bello come aneddoto da raccontare in ufficio ("ehi, ma lo sai chi stava oggi nel mio stesso vagone in treno?") ma non da asfissiarli.

Non so, tutta la gente famosa che si lamenta di non poter fare più una normale vita anonima, a volte mi chiedo: ma ci hanno più provato? O forse è una questione culturale anche questa. Ad Amsterdam comunque è possibile.

È vero anche il contrario, come la ragazzina che anni fa incontra in discoteca il suo idolo calcistico, gli si appiccica, gli amici di lui la invitano ad andare insieme a casa sua e la violentano. Lui no, ma una gran bella figura non ce l'ha fatta lo stesso. Tutta la comunità oriunda di origine lo ha fortemente condannato ("Dovrebbe essere un esempio per i nostri ragazzi, e si invischia in una situazione del genere").

"Ma lui era il suo idolo", si indigna l'amica L. Va bene, ma non ti appiccichi al tuo idolo, ti ubriachi e ti fai portare a casa da due amici suoi che manco sai chi sono. Un modo orrendo di imparare la sfiducia, e spero qualcuno li abbia riempiti di botte quei due, sicuramente non hanno più l'amico famoso, dopo che lo hanno sputtanato così.

O come quell'altro, il dandy checca con palazzo e maggiordomo e le cravatte larghe di seta fatte a mano inventate da lui, che quando lo accusavano di essere fuori dal mondo e non sapere come vivono le minoranze, in particolare i ragazzi marocchini emarginati rispondeva: oh, no, li conosco benissimo, me li rimorchio tutte le sere nelle dark room, e che si muoveva solo nel macchinone chic con autista.

Beh, quello come ha dovuto fare 20 metri a piedi dal parcheggio allo studio televisivo, l'hanno fatto fuori. In Olanda l'auto di servizio evidentemente dà fastidio.

(come al solito butto insieme un sacco di cose diverse, ma sto partendo e non ho tempo di metterle meglio insieme o farne post separati, quello che volevo dire è che finalmente dopo tanti anni ho visto e riconosciuto anch'io un politico per strada, che son soddisfazioni, mi sento di botto molto più integrata)

giovedì 12 febbraio 2009

Geek girls anche all'Aquila? o Roma?

È sempre con enorme invidia che leggo di resoconti dei geek girls dinner, che io non ci sono mai da quelle parti, e mi piacerebbe tanto. Allora, io la butto lì, tanto con miss Kappa abbiamo intenzione di vederci all'Aquila. Farouche mi offre un divano letto a Roma, con LGO ci siamo già conosciute ad Amsterdam.

Ma un geek girls dinner de noantri, magari la settimana che viene (giovedì?) all'Aquila e mercoledì delle Ceneri nella capitale, che ci pentiamo pure e non ci si pensa più no?

Fatemi sapere che ci lavoriamo.

Prove tecniche scolastiche

Da quando sono nati ho praticamente la fissa che prima o poi mi piacerebbe far fare ai bambini un giro in una scuola italiana. Stavolta forse ce la facciamo. ML mi ha appena telefonato per dire che il direttore della scuola di Leo non ha nulla in contrario a fargli fare questa prova.

(Per dire, quest'estate per pura nostalgia gli ho comprato due grembiulini bianchi, che male che vada li usano per le lezioni di pittura).

La prima volta che ne ho parlato ad Ennio, perché di lui si tratta in primo luogo, ed essendo il mio figlio control-freak è bene prepararlo per tempo, si è subito inalberato.
"Ma io non voglio, non parlo italiano abbastanza bene".
"Per questo ci puoi provare adesso. Senti, i calcoli li sai fare, se te li danno ti siedi e scrivi. Leggere e scrivere anche, magari in italiano è un pochino diverso, ma lo vedi subito com'è."

Poi non ci sono più tornata sopra, fino a che non sarei stata sicura. Ma ieri sera lui stesso è venuto a dirmi:
"Ascolta, se vado alla scuola in Italia dimmi se dico bene: mi chiamo Ennio e ho sette anni".

(Probabilmente la frase italiana più corretta della sua vita).
"Bravissimo, e dove abiti?"
"In Amsterdam".
"Si, però in italiano è meglio dire AD Amsterdam, IN Olanda".

Mai visto un bambino così contento di andare a scuola. Speriamo bene.

mercoledì 11 febbraio 2009

La dura strada della consapevolezza di sé

Sono due giorni che vado leggendo in qualsiasi ritaglio di tempo il libro Tutta un'altra vita di Lucia Giovannini, l'amica e collega della mia coach Betta e ci ritrovo tante cose. Del libro parlerò più in dettaglio quando l'avrò finito e riletto un paio di volte, ma già ora mi è utilissimo.

Mi è utilissimo perché mi ricorda un sacco delle cose che ho imparato su me stessa facendo respirazione con Betta e un corso di crescita personale, che non rifarei, sicuramente non con quell'organizzazione, ma che mi è stato molto utile per smuovere il culo quando ero incinta di Orso. Semmai me ne vado con il capo in Thailandia a fare il corso con Lucia e Nicola e strafocarci di pesce, una cosa che ho nel cassetto da un paio d'anni.

Questo libro è fondamentalmente un corso sul cambiamento. Sul cambiamento che anche se non ci piace, ne abbiamo paura e ci mettiamo a testa in giù pur di non ammettere che i meccanismi difensivi che abbiamo sviluppato in una vita, non solo non ci servono più, ma ci stanno enormemente fra i piedi senza neanche che ce ne accorgiamo.

Molte della cose che ho letto ho potuto facilmente ricondurle sia a piccoli cambiamenti che negli anni sono riuscita a introdurre nella mia vita, nel rapporto con gli altri e nel modo che ho nell'affrontare le cose, sia a tutto il periodo di riepensamento su sé stesso e la vita su cui da qualche mese il capo si interroga, senza ancora fare delle mosse definitive per venirne fuori.

Io non credo che leggere un libro del genere, per quanto scritto bene, che ti parla ecc. riesca a smuoverti, se sei in una fase di cambiamento. Tuttalpiù può stimolarti delle riflessioni, convincerti a farti delle domande in modo ragionato ed eventualmente portarti a chiederti che visto che evidentemente ci sono persone che con fatica e tempo riescono a modificare dei meccanismi frusti, in genere comunque stimolati dal fatto che non ce la fanno più ad andare avanti come vanno, magari potresti riuscirci anche tu.

Il che mi riporta al fatto che una cosa è capire dove ti affossi, vederne i meccanismi, capire da quale piccolo episodio sono stati generati (i cosidetti aha-erlebnis, ovvero il momento di introspezione in cui ti fai aha, ecco perché mi infogno sempre in questa tale reazione, ecco perché mi incazzo sempre su questa cosa, ecco perché se mi liberassi del tale meccanismo vivrei meglio).

Ma una cosa molto più difficile, e che a volte dura anni, è abbandonare questi atteggiamenti limitanti che vedi, riconosci, nomini, ma che, miseriaccia, ti si ripropongono di continuo. Eccheddiamine.

Ecco, secondo me il capo si è fatto, anche parlando insieme e con i miei contributi su come io lo vedo da fuori, una gran bell'analisi delle cose che lo frustrano, dei meccanismi in cui ricade sempre, e persino del fatto - anche se secondo me su questa si deve convincere un po' meglio - che in realtà lui si giudica troppo severamente e a guardare oggettivamente come funziona, nel lavoro e a casa, persino nei periodi in cui lui è convinto di sbattersi senza arrivare da nessuna parte, in realtà così male non va, ma ancora non ne viene fuori.

Non fa il passo successivo, quello di trovarsi qualcuno che lo aiuti a realizzare le diverse condizioni in cui vorrebbe vivere e lavorare. E nel frattempo si disamora, si deprime e non se ne esce.

Per quanto riguarda i miei buoni propositi per il nuovo anno, io sto a metà. Mi sono fatta una bella chiacchierata a cuore aperto con mia suocera, chiedendole per favore, anche se ha mille ragioni, di piantarla di battere il chiodo sul fatto che siamo sovrappeso e moriremo d'infarto entro i 40 anni, che ormai ne abbiamo 41 e non è che questa pressione che lei ci mette addosso rientrando in argomento tutte le volte e in tutti i modi che può, ci motivi.

E che ho già deciso da un paio d'anni di riprendermi in mano l'amministrazione del mio lavoro, in modo da togliere un peso che influisce sul tempo libero del figlio, che ho cominciato a farlo per il 2009 ma che finché non facciamo le dichiarazioni dei redditi vecchie, che ha in mano tutto lui, e finché non molla i pagamenti, non se ne viene fuori.

Cioè, io lavoro come una pazza senza mai sapere se lo faccio in profitto, in perdita e a che punto sono esattamente, se le persone che contratto io vengono pagate in tempo (che poi le cazziate per i ritardi me le becco tutte io e la cosa mi stressa oltre ogni dire) e soprattutto se mi pagano in tempo.

Quest'anno per la prima volta mi sono detta: adesso prendo in mano gli insolventi e gli faccio il culo. Prima era un confronto che volevo evitare, che in fondo i soldi non sono mica il motivo per cui mi sbatto. La mia motivazione è fare cose che mi piacciano. Si, bello, ma c'è un limite a tutto, che di cose che mi piacciono ce ne sarebbero.

Che anche sul fatto che pecunia non olet e che non c'è niente di male a guadagnare quello che ti meriti, l'amico spirituale Peter mi ha messo un gran bel libro in mano, che da anni non riesco a finire e mi perdo di continuo. Che evidentemente è un tasto su cui devo lavorare meglio, ma non è il libro che me lo fa fare.

Insomma, un paio di passi quest'anno li ho intrapresi e adesso devo portarli avanti, comprandomi un programma per l'amministrazione spicciola, che sono anni che lo dico, finalmente l'anno scorso sembrava inevitabile, che si era arrivati all'accordo di metter tutto in mano a un ufficio di persone che conoscevamo e che presupponeva il possesso di un programma, ma il capo, a decisione presa, è riuscito talmente a procrastinare la cosa che quando 8 mesi dopo gli ho detto "noi saremmo pronti, quando cominciamo", loro ormai da tempo ci avevano dimenticati ed erano strapieni.

Cosa che io ovviamente ho preso come un rifiuto personale, anche se sono già un po' di annetti che lavoro su questo. che uno dei MIEI pensieri limitanti è proprio qiuesto e mi ci è voluto il corso weekend americanoidizzato per renderme ben conto e passarci un pochino sopra.

Per quanto mi riguarda, io devo risolvere questa cosa della monetizzazione del mio lavoro. E lui deve decidersi a risolversi praticamente un paio dei suoi schemi che lo limitano, e poi decidere cosa davvero vuole fare nella vita. Che poi decida di licenziarsi o meno, di mettersi in proprio o meno, di continuare a fare il suo lavoro, o mettersi ad allevare con successo libellule canterine fluorescenti e diventare ricco e felice perché questo è ciò che il suo cuore ha sempre voluto, a me sta benissimo, basta che se ne esce, che non se ne può più.

Ma lui è uno di quei testoni pseudorazionali e secondo me ci deve sbattere ancora un pochino, prima di darsi una mossa e capire, che nel frattempo io ho deciso di diventare più autonoma da lui per quanto riguarda le decisioni che mi riguardano, se lui rimanda troppo per i miei gusti.

Solo la comunicazione interna va affinata, che stasera abbiamo appena scoperto di aver affittato due macchine per lo stesso soggiorno in Italia, cosa che avrebbe dovuto far lui, ma che siccome mi andava per le lunghe, ho fatto io e mi sono scordata di dirglielo. Tanto lui le cose non le fa mai nei tempi in cui io vorrei, vero?

Che tutte le volte che ho insistito per fare cose che lui non voleva, ha fatto di tutto per sabotarle e tenersi il trauma per anni. Come la volta che ho comprato il mio primo fax di seconda mano. È andato lui a prenderlo, funzionava perfettamente a casa del tipo, ma lui era talmente convinto che non ci servisse e gli stava talmebnte sulle scatole il fatto di aver ceduto, che è riuscito a scassarlo per strada (mia lettura del fatto) e non siamo mai riusciti ad usarlo.

Il fatto che quando l'ho dato a mio fratello, con una mini riparazione da due soldi lui sia riuscito ad aggiustarlo e lo ha usato per anni con piacere, ovviamente non conta. Questo trauma del fax lo ha tirato fuori due giorni fa quando a forza di incazzature si è deciso a pagare la libreria di seconda mano che ero andata a visionare a Franeker. Convinto che sarà una fregatura.

Alla faccia del pensiero limitante, questa volta, la dura strada della consapevolezza di sé mi ha fregata. Chissà quanti anni ancora me lo rinfaccerà. Se glielo permetto.

Che una delle cose che mi ha ricordato Lucia nel libro oggi, è che noi ci stressiamo per gli altri perché glielo permettiamo.

E siccome nell'ultimo paio d'anni ho tagliato con enorme soddisfazione e maggiore pace mentale dei rami secchi che avevo tenuto troppo a lungo, ben venga l'overbooking come metafora di quello che va riaggiustato nelle comunicazioni interne di casa Diga. Che certe volte non mi sembra di vivere insieme, ma uno accanto all'altro indipendentemente ma tagliandoci le gambe, e il 2009 mi sembra una buona annata per darci un taglio.

Insomma, domani mi tocca scoprire se riesco a disdire uno dei due. E se decide di rompermi su questo, forse è meglio che se ne sta a casa e non viene con noi in Italia, anche se proprio oggi ho deciso che non andiamo a trovare nessuno, ma ci prendiamo quel weekend che lui viene con noi come momento in famiglia nella nostra bella casa gelida di montagna, tutti abbracciati davanti al caminetto per non assiderare.

martedì 10 febbraio 2009

Mistery Guests

I bambini ancora non riescono a vedere le nostre ospiti installate in camera di Ennio, perché la mattina sono fuori loro e la sera le ragazze.

Ieri sera Orso è stato sorpreso in camera delle ospiti ad ispezionarne il pacchetto di sigarette.

Scende a mangiare e tutto categorico mi entra in cucina:
"Mamma, ma quelle signore FUMANO!"

Fumare proprio fumare no, che in casa nostra tutti glli ospiti vanno spontaneamente in giardino, ma mi fa piacere il tono tra sorpreso e indignato con cui l'ha detto. O forse me lo immagino io.

A parte che stamattina erano già sveglietti quando siamo saliti a chiamarli, poi ho scoperto che AM, andando in bagno si era affacciata a salutarli.

Insomma, loro saranno pure abituati a gente strana che va e viene da casa nostra, ma stavolta, più che incontrarle, ne scovano le tracce.

Quel ramo del lago di Como: chi lo conosce?


I "miei" sposini usa/sudamericanaoriundaitaliana vorrebbero tanto sposarsi a Como a marzo. Tutti i loro amici e parenti sono pronti a venir giù per festeggiarli. Hanno fatto tradurre e autenticare kilioni di documenti, hanno prodotto testimoni, dichiarazioni giurate, fatto le pubblicazioni in consolato, poi per un mese hanno telefonato al comune di Como per fissare una data. E per un mese nessuno ha mai risposto.

"Mah, sapete, purtroppo delle volte se un'amministrazione è sotto organico devono scegliere se stare allo sportello o rispondere al telefono, e di solito in comune la gente va di persona".
Hanno annuito comprensivi, che sono così innamorati, che figurati, sprizzano ottimismo da tutti i pori.

Io sono meno ottimista. ma cosa devo dirgli, che sicuramente chi ha bisogno di parlare con qualche ufficio specifico, se abita in zona conosce gli interni da chiamare e il numero generale non se lo fila nessuno? Finalmente mi dicono che sono riusciti a parlarci, ma che per marzo sono tutti pieni, gli hanno consigliato di rivolgersi ad altri comuni della zona.

E qui la mia domanda? C'è qualcuno di voi un po' pratico? Io il lago di Como non lo conosco se non per sentito dire e non mi sento di consigliargli dove sposarsi guardando su una cartina.

Quindi se qualcuno di voi si è già sposato o ha assistito a un matrimonio in comune da quelle parti, ha lo zio che ci lavora in uno di quei comuni lì e può chiedergli informalmente come stanno messi a matrimoni a marzo (che serve a poco rimettersi a telefonare un altro mese altrove), o ne conosce uno dove sarebbe bellino sposarsi al cospetto dell'orda di parenti e amici (sud)americani, oriundi nostalgici, olandesi e internazionali vari (vi dico solo che tra sposi e testimoni alle pubblicazioni abbiamo messo insieme quattro nazionalità e mezzo) li può aiutare mandandomi dritte, o meglio ancora un numero di telefono/e-mail e una persona specifica con cui parlare?

Che le pubblicazioni sono pronte e devono solo essere spedite se si sapesse dove, gli inviti sarebbe carino mandarli per tempo, se non si riesce per un venerdi o sabato verso (a questo punto) fine marzo andrebbe bene anche a aprile, ma lei aspetta, dovrà pur comprarsi un vestito della circonferenza giusta e poi via, una sposa, la vogliamo far partorire intorno alla data di matrimonio mandando le cose per le lunghe, o si può farla felice?

Che nessuno chiede privilegi o scorciatoie, ma visto che se uno non parla già bene la lingua e poi deve stare un mese al telefono dall'estero per sentirsi dire che a Como non c'è un venerdi o sabato libero per uno sposalizio (e quanto dura un matrimonio civile in Italia? 10 minuti? Ammazza quanta ce n'è di gente che si sposa a Como quest'anno), io direi soltanto: dobbiamo sempre farci riconoscere? e meno male che stiamo parlando dell'efficiente Lombardia che lavora e che produce.

O sono questi sporchi stranieri, che danno fastidio:-)? Che farebbero meglio a sposarsi al paese loro?

Comunque sia, chi ha dritte, consigli pratici o può (s)consigliare un posto specifico, rendete felice una sposa. E vi pare poco? Porta bene per sette anni consecutivi su amore, salute, figli.

lunedì 9 febbraio 2009

Nove lettere, verticale

Anche se non ne parlo qui, con gli amici ne parliamo eccome. E stamane con le bimbe neolaureande che mi sono venute a trovare dall'Italia, che parlar con i giovani fa tanto bene.

E si parlava dei nostri presidenti della Repubblica e gli ho raccontato della triade Bacco-Becco-Becchino (Saragat, Leone e Pertini), che sono cose che a scuola non te le insegnano.

E loro mi dicevano hai sentito, che vergogna e a me è venuto da rispondere:
"Ma voi l'avete capito, vero, che queste sono prove di colpo di stato?"

(Mi sa che non l'avevano capito).

No, perché a me viene un dubbio: e il testamento biologico, e il delitto di Erba e gli stupri, i rumeni, i calciatori e le loro manfrine, i campionati vinti e persi, i vescovi negazionisti, maledetti stranieri che ci portano via il pane, e le altre cortine di fumo. Uno capisco che a furia di vederseli 40 volte al giorno a reti unificate, a furia di partecipare, incazzarsi, compiacersi e insultare perde anche il filo di quello che sta davvero succedendo.

Però voi l'avete capito, vero? Dove vogliamo andare a parare e dove stiamo arrivando?

Lo diceva Kant (diomio, io speravo di non doverci mai arrivare in vita mia a citare Kant, che se so che l'ha detto lui è solo perché ho appena controllato su Google, e adesso rischio di ricordarmelo pure) che lo Stato si regge grazie all'equilibrio di 3 poteri, la cosiddetta trias politica:
potere legislativo, potere esecutivo, potere giudiziario.

Riassumiamo: la barzelletta tragica che negli ultimi anni è diventato il potere legislativo, non dico niente per non girare il coltello nella piaga. Meno male però che non paghiamo più l'ICE, vero?

Il potere giudiziario fa quello che può, ma sta diventando un ossimoro. O ci siamo scordati gli attacchi per dritto e rovescio ai magistrati?

Il potere esecutivo? Il potere esecutivo vorrebbe far partorire i morti viventi, che se non fosse una cosa che grida vendetta a dio, e speravo proprio di poterne far a meno di parlare, che ci sono cose che hanno bisogno di rispetto e silenzio e invece adesso sputtanate tutte in prima pagina.

Il potere esecutivo, che a me verrebbe da dire che è diventato un plotone di esecuzione.

Cosa resta? cosa resta quando anche il capo dello stato, il custode della nostra costituzione, che ricordiamocelo, non è poi tanto male e funzionerebbe benissimo a darle retta (e staremmo tutti quanti un po' meglio), anche a lui si tagliano le mani nell'esercizio delle sue funzioni?

Ve lo dico io cosa resta, in caduta verticale senza paracadute:

nove lettere, comincia per D, finisce per A, ha due TT in mezzo.

È di questo, che stiamo parlando, non di fronzoli.

Signor Englaro, io la ringrazio a nome dei miei figli per quello che lei sta facendo per salvare quello che resta della trias politica in questo nostro povero paese. Che a starci dentro, alle cose, magari si fa fatica a vederle in prospettiva, ma è questo che lei sta facendo.

domenica 8 febbraio 2009

TunFun, istruzioni per l'uso

Cosa deve fare una povera madre, dopo che ha fatto la domatrice di un branco di mostri resi iperattivi dal glucosio di frittelline, limonata e torta, con il gelato che attende, tutti i pargoli altrui inscarpati e ingiacchettati pronti ad uscire, quando proprio i pargoli suoi da 20 minuti non fanno altro che sparire a turno costringendola ogni volta a farsi mezzo km. di tunnel in su e in giù, schivando altri mostri in macchinine, genitori stressati, ingorghi di passeggini, il tutto dominato dalle urla di almeno 300 gole infantili?

E che al terzo tentativo nel bagno dei maschi, apre la porta e vede il suo ultimogenito a culo nudo, i jeans buttati per terra, i piedi in calzini che schivano le pozzette d'acqua (convinciamoci che sia acqua quella per terra)?

Che nei 3 secondi in cui mette giù un paio di borsone dell'Ikea piene di giacche, scarpe, regali e due ghiaccioli che si stanno sciogliendo nella carta, il mostro si chiude a chiave in un cubicolo, e mentre lei ne scuote la porta, gridando:
"Orso, fammi entrare immediatamente", senza risultato, alle sue spalle un padre, o comunque un energumeno pisellodotato, senza scomporsi si accosta all'urinatoio e si libera, beh, a quel punto la madre batte in ritirata fuori dal bagno dei maschi, che c'è un limite a tutto, e quelle che erano già prima delle ambizioni infanticide ("se li trovo li passo nel tritacarne") cominciano ad assumere colori molto concreti.

Se non che il reprobo si presenta quel paio di minuti dopo annunciando:
"Io stavo facendo la cacca"
e a quel punto qualunque pulsione infanticida si scioglie come neve al sole, che le fissazioni anali fanno molta più paura, dioneliberi.

Il tutto per dire che Ennio ha voluto festeggiare il compleanno al TunFun. Che adesso spiego cos'è.
Ad Amsterdam c'è un aborto di superstrada che dalla stazione Amstel cerca di arrivare in centro e muore sulla rotatoria vicino a Waterlooplein. Una rotatoria che nelle ore di punta si ingolfa mostruosamente e guai a finirci dentro, diventa un ingorgo infernale benniano che ci mancano solo i diavoli travestiti da agenti della stradale.

Però, come diceva Johan Cruyff, ogni svantaggio cià il suo vantaggio, e una rotatoria del genere, triangolata tra sinagoga portoghese, museo storico ebraico e chiesa di Mosé ed Aronne, con dietro l'ex mercatino delle pulci di waterlooplein, originariamente prevedeva un complicatissimo tunnel pedonale per attraversarla senza farsi male.

Sappiamo cosa diventano i sottopassaggi pedonali, a me comunque l'ha raccontato l'amico G. che negli anni ottanta ci si andava a fare le pere. Poi l'hanno murato. Poi una discesa l'hanno trasformata in officina/noleggio bici, poi l'altra un imprenditore lungimirante ne ha fatto questo parco giochi al coperto per bambini da 0 a 12 anni.

Ecco, siamo stati lì. Abbiamo prenotato la festa, che prevede per € 10 a cranio infantile (i genitori entrano gratis) ingresso (che da solo sono € 7,50), frittelline tonde, un ghiacciolo e limonata per tutti nel vagone riservato per 45 minuti, in cui scartare con calma i regali. Loro son durati forse 15 minuti. Si sono precipitati sulle frittelle, e sono scomparsi, lasciando me e Gina lì, con la borsona ikea per le scarpe, quella per le giacche e un'altra per i regali (portatevi sempre una bustona, che torna tanto utile).

Hanno giocato, saltato, corso, litigato, pianto, si sono riappacificati, arrampicati. Ogni tanto un touch base per rimpinzarsi di sciroppo rosa alla plastica, poi ricominicavano.

Noi abbandonato il vagone, abbiamo trovato un tavolone da pic nic libero, ce ne siamo impossessate, e alle 14 abbiamo mangiato la torta, che crepi l'avarizia avevo anche ordinato una torta.

Alle 15 i genitori se li sono ripresi, in stato di decomposizione. Io mi sono rallegrata di aver abbandonato l'insana idea originaria di tenerli lì dalle 11 alle 16. Le 15 andavano benissimo.

Ce ne simo andati lasciandoci i picchi di decibel alle spalle. Devo dire che andarci di mattina, appena are alle 10, conviene. È ancora relativamente tranquillo, con i genitori presenti ci siamo presi con calma un caffé, e i giochi non sono troppo affollati. In genere la calca grossa cominica verso le 13-14 e a quel punto uno potrebbe nche andarsene.

Cioè, se convince i figli a farlo. Che tra la gabbia per il calcetto (regole: i gol e le palle passate tra le gambe dell'avversario vincono, i perdenti stringono la mano ai vincitori), il black box in cui T. si è incastrato e L. è dovuto andare a recuperarlo, lo scivolo a caduta libera che terrorizzava tutti i genitori solo a vederlo, salvo poi che la prima mezz'ora non si sono spiccicati di lì (all'inizio, il primo metro e mezzo completamente in verticale lo fanno appenendosi cone le mani e tirandsi giù, poi partono direttamente da seduti e via).

Nella fase di mezzo sono andati più o meno tutti a giocare nell'area da 1-4 anni, che sono tutti tappetoni e cuscinoni con cui costruire dei percorsi e scivoli piccoli da cui Orso scendeva a cavallo del cuscinone motoretta. Verso la fine tutti sul mega gonfiabile lungo 8 metri. O nella gabbia con i megalego per costruire una torre in cui rinchiudersi.

Decisamente splendido per i bambini ed un'esperienza zen per i genitori. che se non entri nell'ordine delle ide di farli fare e controllare ogni tanto, ma sei portato all'ansia, non ne esci vivo.

Secondo me non a caso hanno messo due computer accanto al bar, 10 minuti di internet a prezzo modico. Io però mi sono scordata la macchinetta fotografica e aspetto di capire come scaricare le foto dal nokia al computer.